spruzz Inviato 16 novembre 2008, 12:11 Segnala Share Inviato 16 novembre 2008, 12:11 CALL OF DUTY WORLD AT WAR MAI DIRE BANZAI Naturalmente impersoniamo due diversi soldati (uno americano e uno sovietico) e, anche se le due campagne differiscono per alcuni tratti (gli spazi più aperti delle isole del Pacifico contrapposti ai devastati sfondi cittadini della campagna russa), Call of Duty: World at War fornisce un'esperienza di gioco in singolo molto simile tra i due diversi fronti. Le uniche (e poche) novità rispetto al passato della serie si vedono però soprattutto nelle missioni americane; i soldati giapponesi si sono infatti dimostrati molto tosti e capaci, sparando dagli alberi da perfetti cecchini, buttandosi contro di noi all'urlo di "Banzaiiii", camuffandosi in mezzo alla vegetazione o nascondendosi in buche scavate sotto terra pronti a tenderci un'imboscata. Non che i militari tedeschi, che ormai conosciamo a memoria, siano meno pericolosi, ma per lo meno combattere contro i soldati del Sol Levante ha allontanato per un po' l'impressione di avere di fronte l'ennesimo sparatutto sulla Seconda Guerra Mondiale, anche perché rispetto allo stesso Medal of Honor: Pacific Assault la sensazione di combattere un nemico spietato e formidabile è ancora più tangibile. Questo inedito squarcio bellico nell'universo di Call of Duty ha permesso anche di utilizzare nuove armi tra cui un fucile con tanto di baionetta, che però non abbiamo mai usato anche a causa della scomoda modalità a singolo colpo, e soprattutto il lanciafiamme. Aggirarsi per i cunicoli dei bunker giapponesi con una simile arma è davvero divertente e "distruttivo", un po' per la lunga gittata delle fiamme (fin troppa se vogliamo essere tecnicamente pignoli), un po' per l'efficacia negli scontri ravvicinati (con una sola fiammata possiamo infatti uccidere due o tre nemici nel caso siano molto vicini tra di loro) e per gli effetti grafici e sonori che ne derivano tra fiamme, fumo volumetrico e nemici che urlano e si contorcono. LA GUERRA IN TUTTO IL SUO MACABRO SPLENDORE Se c'è un pregio che ha accomunato da sempre l'intera serie (anche il terzo e debole capitolo uscito solo su console) è l'impatto scenico degli scontri e, anche in questo caso, il trademark di Call of Duty si riconosce da subito. Mancano forse la grandiosità di uno sbarco in grande stile come il D-Day di Medal of Honor: Allied Assault, la vertigine e l'imprevedibilità dei lanci col paracadute di Medal of Honor: Airborne o un attacco di massa come quello a Stalingrado del primo Call of Duty, ma la sensazione di guerra, paura, violenza e orrore (il tutto racchiuso in una confezione molto cinematografica) non passerà certo inosservata. Anzi, Call of Duty: World at War è l'episodio più sanguinoso della serie e quello con situazioni davvero dure e scomode, come la tortura iniziale o una particolare missione sul fronte tedesco in cui saremo costretti a eseguire degli ordini a dir poco disumani. Non si fanno insomma sconti e solo una certa superiorità "umana" degli americani rispetto agli altri soldati in campo suona forse un po' falsa e retorica, ma per il resto la confusione e l'adrenalina degli scontri è inimitabile. MG42 che ci martellano da dietro un bunker, granate da rilanciare al mittente o da cui fuggire, nemici che ci attaccano da ogni posizione, cecchini dislocati nei posti più impensabili, una bella missione di salvataggio nell'oceano a bordo di un veicolo americano, una disastrosa ritirata della Wermacht dopo lo sfondamento delle linee tedesche, un devastante attacco aereo sulle postazioni giapponesi. Gli esempi sono insomma moltissimi e, almeno nel comparto scenico, Treyarch ha fatto di tutto per non deludere i fan di vecchia data, anche se a qualcuno mancherà una missione così tesa e avvincente come quella a Chernobyl di Call of Duty 4: Modern Warfare. L'assenza di una vera e propria trama rispetto all'episodio precedente, con le sue affascinanti implicazioni fantapolitiche, si fa inoltre sentire sulla lunga distanza e alla fine si prosegue fino all'ultima missione (la caduta di Berlino) senza un vero collante tra i vari livelli. Gli stessi alter-ego che impersoniamo, così come i loro compagni e superiori, non hanno quello spessore psicologico e interiore dei protagonisti di Brothers in Arms e, difficilmente, sentirete una vicinanza nei confronti di Miller o di Dimitri o vedrete l'ora di scoprire l'evoluzione della trama. CERCASI SCAPPATOIA ALTERNATIVA I limiti più evidenti di un simile approccio sono essenzialmente tre. Il primo, visto recentemente anche in Brothers in Arms: Hell's Highway e in Quantum of Solace, è un ambiente di gioco troppo chiuso e lineare; se da un lato la presenza di un unico percorso possibile si può anche accettare (ma fino a un certo punto) negli ambienti chiusi, diventa quasi insopportabile negli spazi aperti e in modo particolare nelle battaglie contro i giapponesi. A un certo punto, completamente circondati dal nemico, volevamo ripararci in una capanna semiaperta ma, nonostante l'assenza di porte o di altri impedimenti fisici, è stato impossibile entrarvi, per non parlare dei continui sbarramenti fatti di sacchi di sabbia, arbusti e filo spinato, veicoli distrutti o recinzioni alte mezzo metro e impossibili da saltare. In livelli così chiusi e impossibili da modificare (scordatevi il benché minimo accenno di distruttibilità di porte, edifici o vegetazione) non rimane altro che proseguire secondo uno o al massimo due percorsi possibili; addirittura ci è capitato di dover per forza imboccare un'unica via di fuga prevista dal gioco perché, seguendo un percorso vicino, rimanevamo bloccati dal respawning continuo dei nemici. UN NEMICO DI NOME RINASCITA Proprio quest'ultimo è il secondo grande limite del gioco; se rimaniamo fermi in una posizione difensiva senza avanzare, i nemici continueranno a ripresentarsi all'infinito e nemmeno i nostri compagni accenneranno a un attacco di loro spontanea volontà. L'unico modo per evitare questa irreale e dispendiosa situazione (meglio non sprecare troppi proiettili per nulla) è avanzare continuamente, oltrepassare una soglia invisibile e mettere fine a questo odioso respawning. Da un lato un simile comportamento aumenta sicuramente l'urgenza, la difficoltà e la tensione del gioco, ma dall'altro annulla di fatto qualsiasi strategia alternativa che non sia quella di ripararsi, individuare il nemico e avanzare. Le uniche varianti consistono in un attacco ai fianchi (ma solo dove certi percorsi lo permettono), nel lancio di granate fumogene per oscurare la visibilità dei nemici e in pochissimo altro, anche perché là dove è possibile chiamare attacchi esterni (come i bombardamenti aerei contro le postazioni giapponesi) si tratta in realtà di un frangente comunque scriptato, obbligato (altrimenti non si può proseguire) e presente solo per una minima frazione di gioco. IL LAVORO DEL SOLDATO NON CAMBIA MAI Tutto questo ci porta al terzo principale difetto del gioco in singolo, ovvero l'assenza di qualsiasi novità strutturale rispetto ai quattro predecessori. Le situazioni sono sempre quelle del passato e in fondo di un qualsiasi sparatutto a sfondo bellico; distruggere i tank nemici, difendere a tutti i costi un punto strategico, espugnare fortini o bunker, cadere in imboscate (tra l'altro prevedibilissime), accasciarsi a terra storditi dallo scoppio di una bomba ed essere soccorsi da un compagno, fare fuoco da una postazione fissa, utilizzare un fucile da cecchino solo in determinate situazioni. Tutte trovate che iniziano francamente a stancare chi ha un minimo di familiarità con titoli di questo tipo e, forse conscia di questo fatto, Treyarch ha recuperato gli scontri corpo a corpo di Call of Duty 3 che tanto avevano scontentato i fan della serie; anche con tutta la buona volontà e l'impegno del caso resistere a un attacco kamikaze di un giapponese con tanto di baionetta è però un'impresa al limite dell'esaurimento nervoso. Abbiamo infatti a disposizione poco più di un secondo per premere un tasto e reagire all'assalto ma, in mezzo a scontri caotici con nemici che sbucano da ogni parte, granate pronte a esplodere e compagni che spesso si trovano tra i piedi e ci impediscono di muoverci, il tutto diventa davvero frustrante (e poi perché basta una sola baionettata per ucciderci quando siamo in grado di assorbire sei o sette proiettili senza morire?). Altre "scappatoie" consistono in un livello ai comandi un tank russo con lanciafiamme incorporato, che stranamente è quello che offre una maggior libertà di movimento, e a bordo di un velivolo americano adibito al salvataggio e al "ripescaggio" di militari feriti in acqua. Anche questa poteva rivelarsi un'idea vincente - e in effetti abbattere gli Zero giapponesi e fare fuoco sui cacciatorpedinieri del Sol Levante è una bella soddisfazione - ma il fatto che il gioco ci obblighi a cambiare torretta di attacco ogni tre o quattro minuti lascia come al solito ben poco spazio alla libertà di azione. LA NOTTE DEI NAZISTI VIVENTI Tutto ciò non significa però che Call of Duty: World at War sia un brutto sparatutto da giocare in singolo. I pregi infatti non mancano e riguardano principalmente l'efficace intelligenza nemica, la buona varietà delle armi (tutte ricreate fedelmente) e l'elevato livello di difficoltà che farà piacere agli hardcore gamer, anche se la presenza di alcuni frangenti a un passo dalla frustrazione scontenterà altrettanti giocatori. Per quanto riguarda la longevità invece il discorso è molto variabile; a livello medio abbiamo terminato il tutto in circa sette ore, ma visto l'imponente fuoco di sbarramento nemico aggiungetene altre tre o quattro nel caso sceglieste il quarto e più elevato livello di difficoltà (noi l'abbiamo provato per due livelli ed è un vero e proprio inferno di piombo). Nota conclusiva per il livello sbloccabile dopo aver completato la campagna in singolo; si tratta di una modalità (fruibile anche in cooperativa) in cui, all'interno di un edificio, dobbiamo resistere a continue ondate di zombi nazisti; a ogni uccisione guadagniamo dei punti che possiamo utilizzare per nuove armi e munizioni e per accedere ad altre parti dell'abitazione, per esempio aprendo porte o spostando degli oggetti sulle scale. Nulla di eclatante, ma un'altra oretta (o forse due) di gioco è comunque assicurata. IL DOVERE CHIAMA ANCHE IN COOPERATIVA Tornano così le modalità già conosciute ai tantissimi fan della serie (Sabotage, Domination, Free For All, Headquarters, Team Deathmatch, Search and Destroy), a cui si aggiungono War e Capture the Flag, le stesse già analizzate in sede di preview per la beta multiplayer di qualche settimana fa. Le mappe sono in tutto dodici e offrono una notevole varietà di paesaggi e di conformazioni (una delle migliori è a nostro avviso quella su una scogliera con dei precipizi da brivido), le armi, gli upgrade, i rank e i "gadget" da sbloccare sono davvero tantissimi e, anche se le novità rispetto a Call of Duty 4: Modern Warfare sono davvero poche (più che altro si tratta di un raffinamento del tutto), il multiplayer di Call of Duty si conferma ancora una volta uno dei migliori sulla piazza. Ma non è finita qui visto che Treyarch ha pensato bene di includere una modalità cooperativa a quattro giocatori (con tanto di supporto per la chat vocale), in modo da affrontare quasi tutti i livelli della campagna in singolo con altri tre amici (mancano giusto le missioni del tank e dell'idrovolante). I limiti strutturali delle missioni rimangono inalterati, ma se non altro è possibile studiare qualche strategia di attacco in più e volendo si può attivare una modalità competitiva, anch'essa con punti esperienza e rank da conquistare, per vedere chi è il più forte dei quattro. Volendo, si potrebbe acquistare il gioco solo ed esclusivamente per goderselo in compagnia di amici (e non) ed è proprio su questo versante che Call of Duty: World at War esprime il suo meglio. EPISODIO DI TRANSIZIONE? Anche da un punto di vista tecnico Treyarch ha però svolto un buon lavoro, non molto dissimile da quello altrettanto valido di Quantum of Solace (i due giochi hanno infatti in comune lo stesso motore grafico). L'engine è strutturalmente quello del predecessore e a beneficiarne sono soprattutto la leggerezza e pretese hardware finalmente alla portata di tutti (o quasi), ma anche l'impatto grafico generale fa segnare qualche significativo passo in avanti rispetto allo scorso anno. La vegetazione dei livelli nel Pacifico è rigogliosa e di grande impatto, gli effetti volumetrici funzionano alla grande (il fumo dei lanciafiamme e delle granate fumogene) così come le esplosioni; inoltre ogni livello ha un suo elemento caratteristico come la neve a Stalingrado, il tracciante luminoso nella prima missione (pare quasi un trip psichedelico), gli edifici distrutti del livello finale a Berlino o i cunicoli nelle trincee giapponesi che richiamano da vicino quelli dei vietcong. Colpiscono anche le animazioni dei nemici (soprattutto quando sono avvolti dalle fiamme) e, pur non essendo di fronte alle chicche di Crysis (che però rimane molto meno gestibile in termini hardware), siamo rimasti piacevolmente colpiti dall'impatto generale del gioco. L'unico rammarico è ancora una volta per un motore fisico quasi inesistente; non si può infatti distruggere quasi nulla di ciò che ci circonda e a soffrirne sono soprattutto il realismo dell'esperienza bellica e gli scontri all'interno degli edifici, dove una semplice poltrona ci può riparare da qualsiasi arma (compreso un anticarro). Su questo punto speriamo davvero che il prossimo Call of Duty, di cui però non si hanno ancora notizie, si possa avvicinare a Crysis o a Battlefield: Bad Company e che venga inserito qualche veicolo da utilizzare al di fuori dei frangenti obbligati... ma forse stiamo chiedendo troppo. by nextgame.it requisiti minimi: processore Dual Core (da 2 GHz in su), 1 GB di RAM (2 GB se si utilizza Windows Vista) e una scheda 3D con almeno 256 MB di RAM. Cita Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
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